Valparaiso, in Cile, è più che una città. È un abbaglio di vivacità stretto tra mare e monti, che si arrampica sulle colline dove la sera soffia la brezza dell’oceano. È pittoresca, spettinata, decadente, è un intrigo di scalinate dipinte che si dipanano zigzagando tra le case in lamiera e i fili penzolanti dei pali della luce.
Le scalinate di Valparaiso poi sono parte integrante di questa città tanto quanto le persone che la abitano. Qua le scale sono, allo stesso tempo, salotto e cortile dei valparaisini. Sui gradini davanti casa si cucina l’asado, ci si siede a mangiare, bere, socializzare, si ascolta la radio, si legge. Qua ci si ferma a parlare con la signora che torna dal supermercato carica di buste. Qua nascono e crescono amori, odi, amicizie, rivalità, sogni.
Valpo, come la chiamano affettuosamente i suoi abitanti, deve molto, forse tutto, al mare. Nasce come porto e subito diventa lo snodo commerciale più importante del Cile. Non a caso i primi edifici furono tirati su utilizzando il materiale più economico, reperibile e resistente alla salsedine: le lamiere delle chiatte. Per questo le pareti esterne delle abitazioni presentano questa forma ondulata che dà alla città quel sapore pionieristico che ancora si intravede tra le pieghe della modernità.
Nata come tana di marinai e commercianti che si trascinavano dietro i sogni infranti, i sospiri delle prostitute, la nostalgia di orizzonti e la fame di prosperità, Valparaiso è oggi una città giovane e frizzante, interamente ricoperta di murales fantasiosi. Proprio i murales sono la sua caratteristica principale. Non c’è (quasi) muro, scalinata, porta, edificio, angolo che non sia stato dipinto e ripensato. Qua tutto si trasforma in colore, i muri narrano di speranze, raccontano di personaggi e frammenti di vita di quartiere.
Tra le storie dei muri di Valparaiso, quella di Beto il cane è tra le più commoventi. “Ogni strada di Valpo ha il suo cane; o meglio, ogni cane ha la sua strada” mi spiegano gli abitanti del Cerro Alegre, rione storico del centro. Alberto, chiamato da tutti Beto, in particolare è ancora nei cuori di tutti. Marroncino e di taglia considerevole Beto era un tipetto sveglio che sapeva il fatto suo. La sua forte personalità gli fece guadagnare la stima degli abitanti del quartiere che cominciarono ad affezionarsi e a prendersi cura di lui.
Beto aveva un debole per le belle ragazze e quando ne vedeva una la seguiva e…finiva sempre a coccole e carezze. Ma le donzelle non erano la sua unica passione: adorava anche l’asado. Ogni volta che i fumi di una bella grigliata si levavano al cielo, lui guidato dal suo fiuto infallibile, si presentava alla tavola dell’asador e…finiva sempre col rimediare qualche pezzo succoso di carne.
Insomma, Beto, per ben quindici anni fu il boss indiscusso della strada del Cerro Alegre che fa angolo con la piazza dei cuori di mosaico e, vuoi per una ragazza, vuoi per un asado, si spingeva sempre un po’ più in là del suo territorio. Un giorno un autobus che non riuscì a frenare in tempo lo investì, ma il buon vecchio Beto non morì sul colpo. Gli abitanti del quartiere lo portarono dal veterinario dove fu curato per giorni a spese dell’intera comunità della zona. Purtroppo però Beto non era più tanto giovane e alla fine spirò.
Il quartiere lo pianse, le persone si intristirono alla notizia della morte del loro amato cagnone e decisero di seppellirlo proprio a ridosso della piazza dei cuori di mosaico. Per settimane la sua tomba ricevette omaggi e lacrime. Poi, siccome siamo a Valparaiso, dove i muri si colorano di storie, gli abitanti del Cerro Alegre ebbero l’idea: Beto era uno di loro e meritava il suo posto sulle pareti del quartiere. Fu così che venne ritratto, nella sua posa classica, all’angolo della casa dove soleva passare il tempo guardando la vita scorrere lungo la sua strada.
E da lì, dal suo quartier generale, ancora oggi il buon vecchio Beto ammira le belle ragazze che passeggiano e socchiude gli occhi al profumo di un buon asado.